Quando eravamo Demoni: IL TEMPO DEL SOGNO (Claudio Lazzanzi - 2023 ITA)


"Io sono stata una Demone" Fiore Argento

C’è un momento in cui il cinema smette di essere solo immagini e suoni per trasformarsi in memoria, in mito, in leggenda. Il Tempo del Sogno, il docufilm diretto da Claudio Lattanzi e narrato da Davide Pulici, ci porta proprio lì: nel cuore pulsante e sanguinante della "golden age" del cinema horror italiano. Un’epoca che ha marchiato a fuoco l’immaginario collettivo di una intera generazione.


THE DREAMING

Nella mitologia aborigena australiana "Il Tempo del Sogno" ("Dreamtime" o "The Dreaming") è l'epoca antecedente alla creazione del mondo, abitata da esseri giganteschi, metafisici, totemici. Il periodo non è relegato semplicemente nel passato: nella visione aborigena essa è infatti quella che gli occidentali chiamerebbero una "dimensione parallela", e rimane ancora accessibile proprio attraverso i sogni. Gli anziani aborigeni svolgono il ruolo di "custodi dei racconti": tramandare alle nuove generazioni l'affascinante splendore di un'epoca primordiale, altrimenti dimenticata.


DAL SOGNO AL REQUIEM

Siamo negli anni Ottanta, un periodo in cui registi come Dario Argento, Lucio Fulci, Lamberto Bava, Michele Soavi, Joe D'Amato, Ruggero Deodato, Umberto Lenzi e molti altri ancora, stavano rivoluzionando il cinema di genere con un mix esplosivo di estetica audace, artigianalità viscerale e coraggio creativo. Il successo travolgente a livello internazionale di Demoni (1985) aveva fatto sperare nel consolidamento creativo e produttivo dell’horror italiano. Ma pochi anni dopo, nel 1994, quella fiamma si sarebbe spenta con DellaMorte DellAmore di Soavi, un capolavoro che ne segnerà un vertice e un requiem.

Il viaggio intrapreso da Pulici e Lattanzi è inizialmente un racconto glorioso, fatto da incubi che all’epoca ridefinirono il confine tra arte e paura. Un maestro cinefilo (Pulici) insieme a un maestro del cinema (Lattanzi), e poi tutto un corteo di giganti dell’horror tricolore degli anni ’80: il risultato è un docufilm che è subito elegia e festa per il cinema italiano dell'orrore. Ma ben presto l'indagine diviene un epitaffio malinconico per un’eredità interrotta: il docufilm prova a scavare fino in fondo per portare alla luce le cause del declino. Inizia una discesa nell’abisso. Cosa ha spezzato l’incantesimo? 

DAVIDE PULICI: L'INDAGATORE DELL'INCUBO PERDUTO

Il Tempo del Sogno si apre con un’immagine che è già un manifesto d'intenti. Siamo in un enorme magazzino stipato di ricordi cinematografici: locandine, libri, riviste, cimeli. È il magazzino di Nocturno, la rivista che Pulici ha fondato nel 1994 (insieme a Manlio Gomarasca). Anno che segna un bizzarro e malinconico spartiacque: mentre l’horror italiano emetteva il suo ultimo gemito (con DellaMorte DellAmore), Nocturno nasceva proprio per custodire la memoria di quel cinema morente. Una coincidenza beffarda.


Pulici è il nostro “indagatore dell’incubo”, che si muove nel contesto del cinema di genere italiano con la passione e la precisione di un archeologo. È uno studioso particolare il Pulici: un appassionato che conosce ogni dettaglio, ogni aneddoto, ogni dettaglio nascosto. E' un "custode dei racconti" dell'epoca del Dreaming, con il compito di tramandarli alle nuove generazioni. 
Tra battute mordaci e riflessioni amare ci addentriamo con lui negli splendori (e miserie) di un cinema fatto di sogni, incubi e tanta magia. Il risultato è un ritratto vivo e appassionato di un’epoca che forse non tornerà mai più, ma che grazie a figure come Pulici, non verrà mai dimenticata. L'horror italiano è diventato una dimensione parallela, ancora accessibile tramite la visione dei film e le memorie dei protagonisti. 
 

UN MOSAICO DI VOCI E RACCONTI

Il Tempo del Sogno rivive grazie alle voci dei suoi protagonisti: i racconti, le emozioni e gli aneddoti di chi ha vissuto l’horror italiano, rendono il docufilm di Claudio Lattanzi una narrazione corale, vibrante. Ogni testimonianza aggiunge un tassello al quadro, fino a realizzare un mosaico enorme e bellissimo, testimone di un’epoca irripetibile.

Lamberto Bava apre le danze, con il ricordo del successo folgorante di Demoni e Demoni 2. Due film di una forza visiva dirompente, che hanno definito un genere, scatenando gli zombi italiani sugli schermi di tutto il mondo. Racconta anche del mai realizzato Demoni 3, un progetto che avrebbe dovuto proseguirne la saga, e della delusione per la chiusura di Brivido Giallo e Alta Tensione, due serie tv che avrebbero potuto rilanciare il genere. Mediaset e tutta la televisione italiana, ormai ostile all’horror, spezzò quel sogno e con esso un’intera stagione di produzioni future.

Poi c’è Michele Soavi, il visionario del cinema horror italiano. La sua testimonianza è tra le più intense: ricorda come La Chiesa, un progetto nato come Demoni 3, si sia trasformato in un horror più raffinato e completamente diverso grazie alla sua sensibilità autoriale. Ma il momento più affascinante è il racconto del suo viaggio in Australia con Dario Argento, dove entrano in contatto proprio col misticismo aborigeno e con l’idea del Dreaming, un concetto che avrebbe influenzato profondamente il suo approccio creativo. Soavi riflette poi su DellaMorte DellAmore e su un’industria ormai in declino, saturata e incapace di evolversi.

Luigi Cozzi aggiunge un tocco controverso al mosaico. Indiziato come possibile regista di Demoni 3, racconta la particolarità di lavorare con un produttore dominante come Argento, che spesso imponeva, giustamente, la sua visione autoriale. Tra i suoi aneddoti più curiosi c’è quello di Black Cat - De Profundis, un progetto voluto da Daria Nicolodi ma stravolto dallo stesso Cozzi: complice anche il bando televisivo che relegava l’horror ai margini, la pellicola è rimasta inedita per decenni.

Le voci degli sceneggiatori arricchiscono il quadro con dettagli preziosi. Franco Ferrini illustra le sue referenze letterarie e sottolinea un tema ricorrente nei film di Argento (e forse di tutto l'horror italiano): la famiglia come luogo di traumi e segreti. Antonio Tentori, invece, riflette sul declino dell’industria horror, paragonandola a una bolla che esplode: la parabola discendente di Lucio Fulci (con produzioni sempre più low budget), e di Joe D'Amato (rimasto invischiato nel porno) ne sono stati i simboli più evidenti.

Le attrici completano il racconto con i loro ricordi personali. 
Barbara Cupisti, musa del cinema di genere, esprime i suoi ricordi con disarmante dolcezza nostalgica.
Fiore Argento offre un ritratto intimo di Dario: un padre amorevole ma regista spietato sul set, dalla precisione maniacale. 
Marina Loi ci porta nelle Filippine, sul set di Zombi 3, dove Fulci, già malato, si affidava ogni giorno a un santone che sacrificava polli per la sua guarigione: esperienze tratte da un suo diario personale.
Silvia Collatina, la bambina di Quella villa accanto al cimitero, racconta come quel ruolo l’abbia segnata e come, ancora oggi, i fan la contattino per rievocarne i momenti.

La musica, elemento fondamentale dell’horror italiano, trova suono e voce attraverso Claudio Simonetti e Fabio Frizzi. Simonetti ricorda le versioni perdute della colonna sonora di Suspiria, frammenti che appartengono al mito. Frizzi racconta del suo rapporto con Fulci, fatto di passione e ironia, e si sofferma sulla colonna sonora di Un gatto nel cervello: un “blues impazzito” che rifletteva perfettamente l’anima travagliata e arrabbiata del regista.

Gli effetti speciali emergono grazie a Sergio Stivaletti, che ripercorre il suo lavoro su Demoni, DellaMorte DellAmore e tanti altri film dell'epoca. Innovazioni come gli zombi “vegetali” del film di Soavi mostrano un tentativo di reinventare il genere nel momento del declino.

Infine un momento di pura magia: lo scenografo Antonello Geleng partendo da "L’isola dei morti" di Blokhin, ricrea con pochi geniali tratti di matita lo scenario di DellaMorte DellAmore. Pura arte visiva.



LA CHIUSURA DEL CERCHIO: PERCHE' IL SOGNO E' FINITO?

Alla fine di questo viaggio vibrante e malinconico, Pulici e Lattanzi ci lasciano con una domanda che è anche un tormento: perché il cinema horror italiano è tramontato? Non ci sono risposte definitive, ma più probabilmente una rete complessa di cause. Il genere aveva ormai esaurito la sua carica innovativa; l’industria non era più disposta a rischiare su un certo tipo di produzioni; la televisione, un tempo alleata, aveva voltato le spalle all’horror. E poi c’era il cambiamento del gusto del pubblico, attratto ormai dai blockbuster internazionali: sempre più spettacolari ma al contempo innocui e rassicuranti. Non c’è un unico colpevole dunque, ma una danza macabra mortifera di vari fattori ... e il sogno si è infranto.

Il docufilm cerca di riunire ciò che si è disperso: Il Tempo del Sogno è pieno di racconti di progetti mai realizzati, di idee e visioni che si sono dissolte come nebbia. Film fermati, falliti, incompiuti, spariti. Sogni dimenticati. Pulici descrive il tutto con una metafora potente: un oggetto che cade inesorabilmente verso il nulla. 



UN CUSTODE DI RACCONTI

Il lavoro di Lattanzi e Pulici non è però un documentario che si limita a raccontarne il declino: è un atto d’amore, un omaggio sentito e necessario. Lattanzi e Pulici non rimpiangono solo il cinema che fu, ma lo celebrano, ricordandoci quanto sia stato fondamentale per l’immaginario collettivo italiano. Ogni intervista, ogni ricordo, è un invito a non dimenticare, a custodire quel sogno anche se il tempo l’ha dissolto.

Ecco che Il Tempo del Sogno diviene un rituale magico che non solo ricorda un passato glorioso, ma lo fa rivivere e lo tramanda. Non una pietra tombale dunque, ma un "custode di racconti" di un periodo d'oro che, nonostante tutto, continua a persistere nella memoria e nei cuori di chi l’ha vissuto o di chi l'ha appena riscoperto. E veniamo, così, trascinati in un mondo che sembra lontano, ma che si rivela incredibilmente vicino. Un mondo fatto di artisti, visioni, coraggio e creatività. Un'operazione encomiabile, un'occasione, forse l'ultima, per rivivere il sogno.


IL COLPO DI SCENA: LA MASCHERA RITROVATA

Il Tempo del Sogno si chiude con un colpo di scena imprevedibile: la maschera di Demoni ritrovata da Silvia Collatina, un'immagine poetica e potentissima. Quel volto demoniaco, che tanti brividi ha regalato al pubblico negli anni Ottanta, è un oggetto affascinante e perturbante. Un simbolo di un passato glorioso che ora giace nascosto e dimenticato, magari in magazzini polverosi o negli angoli remoti della memoria collettiva. Eppure, quella maschera potrebbe essere un nuovo inizio. Se indossata, i demoni ritornerebbero? Una domanda, per ora, senza risposta... o forse un invito?

Lattanzi e Pulici chiudono così il film: con un’immagine che riecheggia il sogno svanito e la possibilità, forse remota, di un suo ritorno. Un finale che non solo commuove, ma lascia lo spettatore con un brivido: la sensazione che quei demoni, in fondo, potrebbero essere solo sopiti. Pronti a un nuovo sanguinosissimo risveglio ... perchè ... a volte ritornano!



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UN OMAGGIO A CLAUDIO LATTANZI

La notizia della scomparsa di Claudio Lattanzi a soli 66 anni, avvenuta in questa estate 2024, lascia un vuoto profondo nel mondo del cinema horror italiano: quella nicchia di celluloide che lui ha esplorato con passione e dedizione. Lattanzi non era solo un regista, ma anche un abile e appassionato narratore, devoto a un’epoca che ha segnato indelebilmente il nostro immaginario. Con questo suo ultimo lavoro, ci ha regalato la possibilità di rivivere il Sogno di un Tempo ormai andato.

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