Nel palazzo della memoria del collezionista di obbrobri, di sgorbi e di squallori, un piccolo ma affettuoso camerino, una stanzetta gloriosamente infantile sarà sempre riservata ai prodotti del genio cacaista.
Con altrettanta chiarezza si affermerà che l’archetipo cacaista non può e non deve essere confinato entro il recinto puramente fisiognomico della Pathosformel (immagini archetipiche che ritornano in contesti differenti attraverso i secoli della storia dell'arte, ndr.)
Vi è senza dubbio una somatica cacaista, una gestualità esplicitamente sfinterica o cripto-defecatoria.
E certo ogni epoca, secondo il suo Kunstwollen ("volontà d'arte" o "gusto", ndr.), ne incarna canoni, engrammi e foto-grammi: dalla grazia marmorea delle antiche veneri accovacciate,
alla stipsi torvamente romantica del pensatore di Rodin,
dall’onta biblica dell’Adamo michelangiolesco,
alla goliardia epifanica dei caganer barocchi (caratteristiche statuine del folklore catalano raffiguranti una persona accovacciata intenta a defecare, ndr.),
Vi è senza dubbio una somatica cacaista, una gestualità esplicitamente sfinterica o cripto-defecatoria.
E certo ogni epoca, secondo il suo Kunstwollen ("volontà d'arte" o "gusto", ndr.), ne incarna canoni, engrammi e foto-grammi: dalla grazia marmorea delle antiche veneri accovacciate,
dall’onta biblica dell’Adamo michelangiolesco,
alla goliardia epifanica dei caganer barocchi (caratteristiche statuine del folklore catalano raffiguranti una persona accovacciata intenta a defecare, ndr.),
dalle gargolle gotiche all’autoritratto rannicchiato di Schiele.
Ma trascendendo la dimensione puramente fisica, la mimesis pedissequamente corporea, l’angustia riproduttiva, il genio cacaista sconfina sovente nella sfera dell’immateriale, dell’astrazione, della idealità , del concetto, finanche dello spirituale, recuperando proprio in questo modo il materiale, l’ornamentale e, obtorto culo, il monumentale.
Si consideri non solo la provocazione doppiamente scatologica e ormai scontata del Pierino Manzoni,
ma anche la variegata Collection of Ordure di Stuart Brisley,
o ancora la serie Santa Chocolate Shop di Paul McCarthy,
fino agli schizo-fecalia di David Nebreda,
In questi casi prevale forse il gusto delle piccole cose, del piccolo mondo anale, finanche una venuzza prescolare, un’emorroide confidenziale, una ragade crepuscolare.
Monumentali (80.000 Kg) e geometrizzanti sono invece i moduli stercorari di Santiago Sierra e Mike Bouche (The Zurich Load),
come pure le recenti, badiali, gigionesche merdone del collettivo viennese Gelatin (2018).
Classicamente imponente il virtuosistico fecaloma in travertino di Rapolano, Shit, presentato da McCarthy alla Biennale Internazionale di Scultura di Carrara nel 2010.
Nel 2008 McCarthy aveva già deposto al Paul Klee Center di Berna un enorme complesso fecale enfiabile, Complex Shit,
a cui nel 2013 ha fatto seguito un nuovo, gulliveriano scatoma pneumatico, Complex Pile, destinato al parco di Hong Kong,
a testimonianza della varietà , dell’internazionalità , e forse dell’universalità del linguaggio dello stronzo, che a tutti, con le parole benjaminiane di Ãœber Sprache überhaupt, comunica il suo «contenuto spirituale». Contenuto indubbiamente cacaista.
a cui nel 2013 ha fatto seguito un nuovo, gulliveriano scatoma pneumatico, Complex Pile, destinato al parco di Hong Kong,
a testimonianza della varietà , dell’internazionalità , e forse dell’universalità del linguaggio dello stronzo, che a tutti, con le parole benjaminiane di Ãœber Sprache überhaupt, comunica il suo «contenuto spirituale». Contenuto indubbiamente cacaista.
Il cacaismo eccede in effetti lingue, culture e anche religioni.
Una sorta di tempio meccanico è ad esempio l’ormai celebre Cloaca (2000) di Wim Delvoye,
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Cloaca è una installazione presentata per la prima volta nel 2000 al Museo di arte contemporanea di Anversa: è costituita da un macchinario che, riempito di cibo, dopo una sorta di "digestione" produce feci. Presenta dunque una "bocca" nella quale inserire alimenti e un retto che espelle merda, eventualmente poi venduta a cifre incredibili.
Questo macchinario non fa dunque altro che simulare la digestione e produrre, alla fine, degli escrementi. Tutto è perfettamente controllato da computer, tutti i processi della digestione vengono sempre resi visibili. Durante le esibizioni Cloaca viene alimentata due volte al giorno.
L'installazione ha riscosso un enorme successo, tanto da indurre Wim a riproporla in altre città con forme e funzionalità differenti. Questa opera d’arte ha fatto una sua apparizione anche in Italia con la versione “Turbo”, realizzata usando delle lavatrici in serie. E' stata presentata a Prato nel 2004.
Ripassiamo la palla all'autore dell'articolo.
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A rifletterci è difficile decidere se si tratti di:
1) versione postumana o patafisico-apocalittica dei modelli anatomici barocchi;
2) monumentale «macchina celibe», che converte il Trieb (istinto, ndr.) sfinterico-desiderante in pulsione di morte, in più civile aspirazione all’inorganico;
3) pietra, o meglio coprolito tombale, anche sul gesto ultimo, sull’atto minimo, sommamente intimo e sommessamente auratico dell’artista tradizionale, diffidente di ogni servo-sterco, fanatico dell’escremento casereccio, perché ancora nostalgico dell’unicità autorale;
5) metafora dell’impasto di pulsione di vita e di morte nella difficile, per molti versi anale operazione di sublimazione;
6) colossale stronzata.
A rifletterci è difficile decidere se si tratti di:
1) versione postumana o patafisico-apocalittica dei modelli anatomici barocchi;
2) monumentale «macchina celibe», che converte il Trieb (istinto, ndr.) sfinterico-desiderante in pulsione di morte, in più civile aspirazione all’inorganico;
3) pietra, o meglio coprolito tombale, anche sul gesto ultimo, sull’atto minimo, sommamente intimo e sommessamente auratico dell’artista tradizionale, diffidente di ogni servo-sterco, fanatico dell’escremento casereccio, perché ancora nostalgico dell’unicità autorale;
4) cristallina quanto inconsapevole parodia dell’Ursprung des Kunstwerkes heideggeriano (l'unica opera nella quale il filosofo tedesco affronta organicamente la questione dell'arte, ndr.), che sulla pesantezza del tempio e sul materiale oscuro della Terra, diciamo pure sull’identità /differenza di Erde (Terra in tedesco, ndr.) e merde si incardina;
5) metafora dell’impasto di pulsione di vita e di morte nella difficile, per molti versi anale operazione di sublimazione;
6) colossale stronzata.
Ipotesi, quest’ultima, da considerare con assoluta serietà , e in combinazione con tutte le altre.
Perché proprio in essa e in tale intreccio si annida il problema, di più: il meta-problema, il rovello ardente e pruriginoso dell’arte cacaista.
La distinzione classica tra l’opera che rappresenta (dal defecante alla metonimia moschina del defecato) e l’opera che presenta (il ready-made lato sensu coprologico), come pure quella tra l’opera votata al visibile e quella votata all’invisibile, non rende infatti ragione della sua viscerale ambiguità .
Nella sfera del genio cacaista – laddove il migliore e il pessimo circolarmente si toccano e si avviluppano in intestinale abbraccio, perché opera-merda, opera di merda e merda all’opera trapassano l’una nell’altra – si impone l’ulteriore tipologia dell’opera che testimonia, e testimoniando incarna.
Non mimesi fecale, non presentazione snobistica della merda come oggetto-trovato-fatto o da-fare, non utopia dell’oltre-feci, ma cagata esemplare. Non forma di stronzata o suo rovescio, intendiam dire, ma stronzata vera.
E tuttavia proprio per questo merda di merda, messa in scena di sé anzitutto come cagata, e cagata anzitutto come messa in scena di sé, grande opera come rinuncia alla grande opera, opera nata mortificata, e perciò già da sempre oltre il bel simulacro.
Si badi bene: non stiamo parlando di banale autoconsapevolezza, romanticamente di infinita autoriflessione interna all’opera, ma di miracolosa confluenza di eventi che eccedono la volontà dell’autore e il contenuto materiale per coagularsi in un vero stronzo/torso goethiano, in opera nata torso, opera segreta ed escreta come ideale da sempre mancato e mancanza stessa di ideale.
Il miracolo dunque si compie nel momento in cui l'opera d'arte non solo rappresenta una cacata (banalmente: una persona che caga), non solo presenta una cacata (la merda di Manzoni), ma è essa stessa una cacata. Una stupefacente trinità .
In questo senso, al paradosso per cui l’opera di merda, per quanto massimamente diffusa, è solo una minima parte dell’universo cacaista, si intreccia quello per cui entro lo stesso materiale coprologico vanno rigorosamente e perciò casualmente distinti due tipi: il prodotto banalmente kitsch, e il capolavoro.
Nel capolavoro rappresentazione, presentazione e testimonianza diretta si intrecciano in un momento, lo ripetiamo, di miracolosa quanto casuale intensità fecale.
Ma di che genere sono questi capolavori, e come trovarli, si chiederà impazienti?
Rispondiamo: occorrono acume e fortuna; sintesi apparentemente impossibile di fiuto e deretano; un naso-culo alla Bosch, si potrebbe dire; finanche un nasobema. Del resto anche in tempi sfortunati e anosmici, come quelli attuali, al raccoglitore attento di perle e fonfoni cacaisti non sfuggirà mai il sentore e la casuale traccia del capolavoro.
Nel prossimo articolo ne forniremo un dannato, concretissimo esempio (che si trova a Roma, proprio qui a due passi dalla nostra redazione, ndr.).
Paolo Gabrielli (Gabriels)
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