Sanremo 1985: non solo un Festival, ma un evento pop che segnò un’epoca. I Duran Duran accolti da un’isteria collettiva senza precedenti: fan in delirio, paninari in prima fila. Ma poi l'imprevisto: un Simon Le Bon con il piede fratturato e un playback smascherato potrebbero rovinare tutto! Interviene Pippo Baudo: salvatore della patria. Un evento surreale, caotico, irripetibile, che trasformò per sempre Sanremo in uno show globale. Una apparizione, quella della band inglese, ancora circondata da mistero: perchè nessuno dice che le performance all'Ariston furono in realtà due? Come si infortunò Simon? Perchè della seconda, quella con Le Bon claudicante, non si trovano tracce video in rete?
Vuoi scoprire la vera storia? Seguici, Caina sta per raccontarti tutto!
Sanremo anni '80: edonismo, trash e rinascita post anni di piombo
Negli anni '80, il Festival di Sanremo era il perfetto specchio dell'Italia dell'epoca: eccessivo, edonista, spettacolare e grottesco. Il paese, appena uscito dagli anni di piombo, aveva voglia di leggerezza, di sfarzo, dimenticare il sangue e tuffarsi in un mare di lustrini, suoni sintetici e sogni in technicolor. Lontani i tempi delle canzoni di protesta e dei cantautori impegnati, Sanremo diventava il palcoscenico di una nuova Italia, quella delle tv commerciali, delle pubblicità patinate, della “Milano da bere”.
Non c’erano mezze misure: tutto era spinto all'estremo. La scenografia era un trionfo di neon, superfici riflettenti e schermi digitali, un'anticipazione delle future televendite urlate. Gli abiti erano un inno all’eccesso: spalline grandi come astronavi, colori acidi, capelli cotonati a sfidare la legge di gravità . E la musica? Una fusione di pop zuccheroso, melodramma sanremese e qualche audace sperimentazione elettronica. Era il festival del playback, delle coreografie improbabili, delle performance più visive che sonore. Ma era anche il festival degli italiani, la loro catodica settimana santa.
Sanremo non era solo una gara canora: era un fenomeno socioculturale, un evento capace di paralizzare il paese. Milioni di persone incollate alla tv, dibattiti infiniti sul vincitore, scommesse su chi avrebbe fatto flop. Il festival era un’arena, dove si sfidavano vecchie glorie della canzone italiana e nuove leve pronte a scalzarli. Ma era anche un’industria, un generatore di mode e miti: il look contava almeno quanto la voce, se non di più.
In questo scenario dorato e surreale, l’arrivo dei Duran Duran nel 1985 fu un evento epocale. Non si trattava solo di ospiti internazionali extra-lusso: erano il gruppo più amato del momento, le popstar patinate che riempivano stadi e facevano impazzire le ragazzine di tutto il mondo. La loro presenza a Sanremo sanciva un passaggio storico: il Festival, da sempre considerato un affare italiano, si apriva definitivamente al pop globale, accogliendo i nuovi idoli del music business internazionale.
La febbre Duraniana si impossessò della riviera ligure. Il pubblico in delirio, le fan pronte a tutto pur di avvicinarli, i paparazzi appostati giorno e notte fuori dagli hotel. Sembrava di essere tornati ai tempi della Beatlemania. Ma era il 1985, e Sanremo, con tutto il suo glamour e il suo trash, divenne il centro del mondo, almeno per una settimana.
I Duran Duran nel 1985: dal post-punk a stelle del pop
Quando i Duran Duran arrivano a Sanremo nel 1985, sono al vertice del successo. Il gruppo, nato dal fervore post-punk inglese di fine anni '70, si è evoluto in qualcosa di molto più grande: un fenomeno globale che mescola new wave, elettronica e un’estetica raffinata e cinematografica. Sono la band perfetta per gli anni '80: belli, moderni, irraggiungibili, onnipresenti sulle copertine delle riviste, nei videoclip trasmessi in loop da MTV e Videomusic, e abitano i sogni delle adolescenti di tutto il mondo.
Il loro percorso è stato fulmineo. Con il loro primo album del 1981, avevano catturato l’attenzione della scena musicale britannica, ma era stata con “Rio” del 1982 la loro vera esplosione mondiale. Il mix di synth, funk e rock accompagnato da videoclip girati in località esotiche aveva trasformato Simon Le Bon e soci nei nuovi idoli della generazione post-disco. Nel 1984, con l’album live “Arena” e il singolo “The Wild Boys”, il gruppo aveva consolidato il proprio status di superstar. Quel brano, ispirato addirittura al romanzo omonimo di William S. Burroughs, era un’esplosione di energia e tecnologia, con un videoclip che sembrava un film di fantascienza distopico.
In Italia, la Duran-mania già dilagava. Il gruppo era adorato in particolare dai paninari, tribù urbana fatta di ragazzi ossessionati dalla moda e dall’ostentazione del benessere. Per loro, i Duran Duran sono l’incarnazione del cool: vestiti impeccabili, atteggiamento disinvolto, capelli scolpiti. La loro estetica è tanto importante quanto la loro musica, e ciò li rendeva la band perfetta per il pubblico giovane italiano, sempre più attento all’immagine e alle tendenze internazionali.
L’attesa per il loro arrivo a Sanremo è spasmodica. Mai prima di allora una band straniera aveva generato una simile frenesia. L'hotel dove alloggiano sembra una zona di guerra: fan accampati giorno e notte, appostamenti strategici, portieri d’albergo che si trasformano in spie per madri disperate, pronte ad avvisare le figlie non appena si profila l’ombra di Simon dietro una finestra. Urla isteriche, pianti, mani nei capelli: un delirio assoluto.
Ma dietro il glamour e il successo planetario, i Duran Duran stanno vivendo un momento di transizione. La pressione mediatica, i tour senza sosta e le tensioni interne al gruppo iniziano a farsi sentire. Dopo Sanremo, la band si sarebbe presa una pausa, con alcuni membri impegnati in progetti paralleli (gli Arcadia e i Power Station). Ma in quel momento, all’Ariston, sono all’apice assoluto della loro fama. Per il pubblico italiano, la loro apparizione sarà un evento storico, e Sanremo per una settimana diverrà la capitale del pop.
Ma facciamo un passo indietro: come ci sono finiti i Duran Duran al Festival di Sanremo?
Pippo chiama e i Duran Duran rispondono
Sanremo è sempre stato un terreno di battaglia per i conduttori, ma nessuno lo sta dominando come Pippo Baudo in quegli anni. La sua abilità non sta solo nel presentare, ma di plasmare il Festival, trasformarlo in un evento epocale. Ogni edizione sempre più grande, più sorprendente, più internazionale. E nel 1985, l’idea di portare i Duran Duran sul palco dell’Ariston è davvero un colpo di genio.
Ma Baudo vuole fare il botto: vuole i Duran Duran. Si mette in moto con la sua solita determinazione, tessendo rapporti con manager, case discografiche e impresari per assicurarsi la loro presenza. Convincere i Duran Duran non è semplice. Il Festival, per quanto prestigioso in Italia, non è proprio un appuntamento imprescindibile per una band come la loro. Ma il fiuto di Baudo vince ancora una volta. Con promesse di visibilità , un trattamento da divi e la garanzia di un’accoglienza da rockstar, riesce a portarli a Sanremo. E così Baudo e il Festival del 1985 entrano nella storia.
La prima esibizione, l’incidente, la seconda esibizione e la premiazione finale
Sanremo 1985: durante i giorni del Festival la città sembra il set di un disaster movie con una colonna sonora new wave. Le duraniane sono ovunque: accampate fuori dall'Ariston, in perenne stato di agitazione, pronte a scatenare un’isteria collettiva. Intanto i paninari lucidano le Timberland e ripassano i passi di danza (il cosiddetto "balance"), mentre i tabloid sparano titoli in prima pagina: “Delirio in Riviera!”
Finalmente, la prima esibizione: l’Ariston esplode in un’ovazione da stadio. L’attacco di “The Wild Boys” riempie il teatro, con Simon Le Bon e soci impeccabili nelle loro pose da divi del pop. Il playback? Dettaglio irrilevante. Il pubblico non vuole realismo, vuole di più: vuole il mito. E i Duran Duran, con il loro carisma, sono pura mitologia anni '80.
Ma il pericolo è dietro l’angolo. Giusto prima della seconda esibizione, prevista per la serata finale del Festival, il panico inizia a diffondersi: Simon Le Bon si è fatto male. Voci contrastanti si rincorrono: Una caduta rovinosa? Una fan impazzita? Un misterioso incidente sugli scogli? Una serata movimentata in discoteca? Fatto sta che, poco prima della finale, abbiamo il verdetto. I Duran ci saranno ma a un prezzo: il frontman avrà un piede ingessato, la conseguente performance probabilmente compromessa.
L’ingresso sul palco è surreale. Simon, bastone in mano, avanza come reduce da una battaglia. Pippo Baudo, con il suo senso teatrale ineguagliabile, si inginocchia a baciargli il gesso, elevando l’evento a un miracolo sanremese. "Sono scivolato e mi sono rotto il piede" dichiara Simon con laconica leggerezza, ringraziando l’ospedale di Villa Spinola per il sostegno.
La performance è chiaramente in versione ridotta: niente salti, poco "balance", tante pose statiche. E poi, l’imprevisto: nell’ultima strofa, Simon dimentica di avvicinarsi al microfono, mentre la sua voce continua a uscire dagli altoparlanti. Il playback è stato smascherato in diretta nazionale e internazionale, ma Pippo Baudo, con la prontezza di un prestigiatore, sdrammatizza: "Simon ha una voce che va bene pure senza microfono!" Il pubblico ride, applaude, tutto risolto.
Di questa seconda esibizione, sorprendentemente si trovano poche tracce in rete. Ve la proponiamo così sottobanco, come un reperto archeologico fragile e raro, da ammirare.
A notte fonda, i Duran Duran tornano sul palco per ricevere il Telegatto come miglior gruppo internazionale. In un colpo di genio autoironico, entrano fingendo di zoppicare tutti insieme, scatenando il delirio in sala. Il quadretto finale li vide circondati dai Ricchi e Poveri, Luis Miguel, Gigliola Cinquetti, Edoardo de Crescenzo, con Pippo Baudo a gestire la scena come il regista di un kolossal surreale. Il Festival di Sanremo 1985 si chiude con un’immagine destinata alla storia: l’Italia e il mondo intero testimoni di un evento tanto caotico quanto indimenticabile.
Il lascito generazionale di una notte epica
Sanremo 1985 non è stato solo un festival musicale, ma un rito di passaggio, una finestra verso un futuro in cui la musica pop non avrà più confini. E' stata la notte in cui il Festival si è liberato definitivamente del provincialismo e si è spalancato alle sonorità internazionali. L’arrivo dei Duran Duran ha segnato un prima e un dopo, spostando l’asse dell’evento da celebrazione della melodia italiana a show globale mondiale.
Le immagini di Simon Le Bon con il piede ingessato, l’invasione dei fan in delirio di tutta Italia, il playback smascherato in mondovisione sono diventate iconiche di un’epoca in cui tutto era esagerato, spettacolare e patinato. E' stato il momento in cui il mito dei Duran Duran si è cementato per sempre nella cultura italiana. Per una generazione cresciuta davanti a Video Music e DeeJay Television, dentro alle paninerie di Piazza San Babila, quella notte all’Ariston è stato il corrispettivo di una Woodstock.
L’effetto Duran Duran in Italia non si spense con la fine del Festival. Il 1985 vide l’uscita del libro “Sposerò Simon Le Bon”, scritto da una sedicenne milanese, Clizia Gurrado, che trasforma la febbre per la band in un romanzo generazionale. Un anno dopo, il libro divenne un film, celebrando il sogno impossibile di migliaia di adolescenti: sposare una icona pop.
In un decennio dominato dall’apparenza, i Duran Duran ne furono il simbolo perfetto: belli, stilosi, leggeri ma irresistibili. Il loro impatto non si limitò alla musica, ma si estese alla moda, ai videoclip, all’estetica pop. Ancora oggi, il loro nome evoca un’epoca irripetibile fatta di synth scintillanti, giacche dai colori sgargianti e ciuffi scolpiti con il gel.
Ma Sanremo 1985 non lasciò solo un’eredità fatta di ricordi nostalgici e diari segreti pieni di foto ritagliate. Quella notte dall’Ariston arrivò un segnale chiaro: la cultura pop stava cambiando, e l’Italia non voleva restare indietro. E il Festival di Sanremo, da quella sera, non sarebbe mai più stato lo stesso. Si aprì la strada a un nuovo corso, che negli anni successivi attirò grandi star internazionali come Madonna, Depeche Mode, Queen, David Bowie, etc.
Pippo Baudo una volta disse: "La Rai ha contribuito a unificare l'Italia più che le autostrade."
Si Pippo, è vero. E quella sera del 9 Febbraio 1985, una intera nazione ha vissuto un sogno nazional-popolare, ritrovandosi unita nella speranza di vivere degli eterni anni '80, preparandosi a un futuro scintillante ... che non è mai davvero arrivato. Ma questa è un'altra storia.
0 Commenti