Il Male Quotidiano: FAMILIA (Francesco Costabile - 2024 ITA)

"Resta qui, quando ci sono i rumori dobbiamo aspettare"

Trama: Luigi, vent'anni, vive con sua madre Licia e suo fratello Alessandro: una famiglia segnata dalla figura di Franco, padre violento, che non vedono da dieci anni. La sua assenza però non è una liberazione: è un'ombra costante che grava sulla loro esistenza. Nel tentativo di sfuggire a questo passato opprimente, Luigi cerca un’identità altrove, trovando rifugio in un gruppo neofascista. Qui, la violenza e l'odio diventano la sua nuova tossica "famiglia". Quando Franco ritorna si sprofonda nuovamente nel caos: si riaprono vecchie ferite e se ne creano di nuove, devastando il fragile equilibrio faticosamente conquistato. Franco vuole riprendersi il controllo assoluto dei suoi familiari e Luigi combatte per spezzare finalmente il ciclo distruttivo che lo perseguita.





Un Melodramma Nero e Claustrofobico

Familia è un melodramma nero, inesorabile, spietato. Un viaggio oscuro e opprimente, la violenza regna sovrana in un'atmosfera carica di tensione che non si manifesta solo visivamente, ma pervade ogni angolo di casa. Strato dopo strato, una crescente inquietudine intrappola i protagonisti e lo spettatore in un vortice claustrofobico. La famiglia diventa il fulcro di una dinamica di potere, di dominazione fisica e psicologica, fino a rendere insopportabile la stessa quotidianità.

Costabile utilizza gli spazi (la casa di famiglia, la borgata, i rifugi neofascisti) per creare un ambiente chiuso, apparentemente senza via d'uscita. Inquadrature strette e movimenti di macchina esaltano il senso di soffocamento. In questo contesto la casa di famiglia diviene una prigione, e i suoi abitanti sono schiacciati da un passato e da un presente che sembra condannarli a ripetere ciclicamente la stessa violenta spirale.

Come nel primo film del regista (Una Femmina) il nucleo familiare, da luogo protettivo e caldo, diviene ambiente arido, freddo e virulento. La famiglia, che come diceva spesso Dario Argento, "è causa di tutti i mali". (Quanti film del Maestro indagano proprio gli orrori familiari?) 




Dal Realismo all'Horror

La paura è una emozione che permea l’intera casa, annullando qualsiasi speranza di normalità. Da qui la scelta di contaminare il dramma con generi diversi: una trovata che rende Familia sorprendente. Costabile riesce a squarciare l’impianto realista del dramma familiare con venature horror che trasportano lo spettatore in una dimensione quasi metafisica. Franco non è solo un uomo violento, è un’entità infestante, un male che apparentemente non può essere rimosso. Anche dopo dieci anni di assenza, la sua ombra continua a pesare su moglie e figli. Come il Jack Torrance di Shining: simbolo di follia distruttiva inarrestabile.

Ogni corridoio buio, ogni porta socchiusa lascia intendere che il pericolo è lì, appena fuori dalla vista, pronto a esplodere. Franco è come un Poltergeist che si annida in casa tenendo tutti in ostaggio. Franco è un'oscura presenza che incombe su di loro, simbolo di un passato che non può essere dimenticato e di un presente che non può esser cambiato. La casa di Luigi, Licia e Alessandro non è più un rifugio, ma una trappola, un luogo senza via di fuga. In questa ottica da horror metafisico, il film ci porta a comprendere come Franco (il Male) non può essere superato se non attraverso un atto di distruzione/purificazione finale: una sorta di rituale magico e tragico, dove il sacrificio diventa l’unica via liberatoria.



Il Lavoro Sugli Attori

In Familia, la narrazione non risiede tanto nelle parole quanto nei silenzi, negli sguardi e nei movimenti del corpo. Le interazioni tra i protagonisti sono duelli emotivi: ogni minima espressione è carica di significato. Non ci sono lunghi discorsi: ogni singolo gesto o respiro diventa importante. Bastano i volti a trasmettere l'abisso di paura in cui vivono e rivivono i protagonisti.

Francesco Gheghi, nel ruolo di Luigi, incarna perfettamente un giovane carico di rabbia e risentimento. I suoi movimenti rigidi e compressi e gli sguardi intensi trasmettono un' interiorità combattuta. L’interazione tra Luigi e Franco è la chiave del film: é il ragazzo che prova a riportare il padre nella sua vita, con tutte le conseguenze del caso. 

Barbara Ronchi, nei panni di Licia, porta in scena una madre devastata, traumatizzata, che ricade negli errori di un passato intollerabile anche per paura, vista la totale mancanza di supporto istituzionale. Ogni suo movimento è misurato, come se cercasse di non farsi notare, di nascondersi dal mondo. Nei suoi silenzi, la Ronchi trasmette il profondo tormento di una madre pronta a sacrificarsi per proteggere i figli. Anche a costo di riportare a casa il padre, pur di ricomporre una famiglia.

Il lavoro di Francesco Di Leva, nel ruolo di Franco, è altrettanto impressionante: la sua fisicità domina la scena. Si insinua in casa e lentamente instaura nuovamente il suo regno di terrore fatto da gesti, sguardi, e poche terrificanti parole. Mentre Luigi cerca disperatamente di staccarsi dalla sua figura, Franco sembra ricordagli di continuo "sei come me". Devastandolo.




Fuori Fuoco: Cosa Si Nasconde ai Margini?

Francesco Costabile costruisce un impianto tecnico che diventa parte integrante dell’esperienza sensoriale ed emotiva del film. La sua regia mantiene lo spettatore in un susseguirsi di stati di agitazione.

Il fuori fuoco diventa una firma stilistica in Familia (tecnica già usata nel precedente Una Femmina), con un impatto psicologico profondo. Costabile ci costringe a soffermarci su una parte dell’immagine, lasciando i margini sfocati e con la costante sensazione che qualcosa stia accadendo fuori dalla percezione visiva. Cosa si nasconda ai bordi del visibile?

Il fuori fuoco non crea solo suspense, ma a livello di analisi emotiva suggerisce come le verità più dolorose non siano mai completamente visibili. Le stesse relazioni tra Luigi e il padre e tra Licia e il marito, tramite le sfocature visive assumono maggiore complessità, finendo intrappolate in delle zone d'ombra.




La Urla del Silenzio

Altro elemento centrale del film è l’uso del sonoro. I rumori soprattutto, studiati per amplificare angosce e tormenti: i passi pesanti, le porte che sbattono, i sospiri. E poi le esplosioni: le botte sui muri, e quelle urla che rimangono impresse, come echi di una violenza che persiste e risuona oltre la visione.

Ma è nei silenzi che Familia trova la sua essenza. Costabile non è interessato alla verbalizzazione delle emozioni ma all'universo interiore dei personaggi. Comprende il valore del non detto e lo sfrutta con maestria. Silenzi più rumorosi delle urla, premonitori di un’esplosione che purtroppo non tarderà ad arrivare.  

Il risultato è una regia che ti tiene letteralmente in ostaggio, esattamente come Franco tiene in ostaggio i suoi familiari.



Il Finale Lirico

Dopo un percorso narrativo carico di tensione fisica e psicologica, Familia ci sorprende con un lirico epilogo che eleva il film oltre il suo impianto realista. Costabile fa propria l'intuizione di Bresson: "La realtà bruta non darà da sola qualcosa di vero". Ecco quindi la conclusione che diventa simbolica: una tragedia classica, dove padre e figlio si confrontano in un ultimo atto di verità. L’immagine chiave del finale – un padre, un figlio, un coltello – segna il culmine del dramma familiare, trasformandosi in un rituale di purificazione. Il coltello diventa simbolo di liberazione, richiamando le tragedie greche, dove la violenza è spesso purtroppo l’unica via per la pace.

Franco, il padre, ha forse un momento di consapevolezza, e Luigi ha la possibilità di chiudere il ciclo di brutalità. La domanda è: una spirale di violenza può essere spezzata? Il film suggerisce una possibilità di redenzione. Non è facile, ma per chi riesce a rompere le proprie catene, c’è la possibilità di una nuova vita.

Familia è una riflessione universale sulla violenza e la possibilità di redenzione. Familia è un film rivolto a tutti, parla di noi, anestetizzati e impotenti di fronte al tanto, TROPPO, male quotidiano.

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Familia è tratto dall'autobiografia Non sarà sempre così di Luigi Celeste, che nel 2008 uccise il padre per difendere la madre dalle continue e reiterate violenze quotidiane. Se non lo avesse fatto, ci sarebbe stato l'ennesimo femminicidio, da aggiungere alla lista annuale. Il libro descrive il suo percorso di rinascita e redenzione. 

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